A wannabe rockstar

Nei miei sogni c’è sempre stato quello di fare la tour manager dei Duran Duran, lo sapete.
Ma credo che mi sarebbe piaciuto molto anche fare la rockstar.

Amo la musica. Tutta, tranne – lo confesso – la latino-americana: alla terza bachata mi viene il ballo di San Vito.
Amo la musica. Mi entra nel sangue e mi fa venire voglia di muovere ogni singola fibra del mio corpo, anche le unghie dei mignoli dei piedi.

Sento il ritmo pulsare nelle vene, selvaggio.
Sulla pista mi chiamano “La Tarantolata“. Meglio dire mi chiamavano, perché in effetti è da molto che non scendo su una pista seria. Il tempo passa.

Amo tutti gli strumenti musicali, magari il triangolo no (in nessuna circostanza): il sax, il violino, il clarinetto, la chitarra elettrica, quella acustica, l’oboe, i bonghi, le percussioni.
Ma più di tutti, il basso.

2 anni di Jordan

Penso che a breve dovrò cambiare il mio profilo LinkedIN, modificando la qualifica attuale di “PR & Corporate Communications Manager”, in un più altisonante e calzante “PR & Personal Assistant di Jordan El Galgo Dica Conte di Bollate”.

Dal 28 ottobre di due anni fa a questa parte, in effetti, sono diventata a tutti gli effetti non solo la mamy ma anche la personal manager del nostro Jordan.
La data di inizio del mio nuovo mestiere non è per nulla casuale: è stato proprio il 28 ottobre (San Simone) il giorno in cui Jordan ha messo zampa in casa nostra, entrandoci con la leggerezza e l’eleganza che solo un levriero possiede.

Oggi, quindi, è il suo secondo #GotchaDay!

Quella lacrima sul viso

E così Simon Le Bon è diventato nonno. No-nn-o. Gulp!

L’altro giorno quando l’ho appreso non ho potuto che essere felice per lui e accogliere con entusiasmo il suo tweet carico di orgoglio. Come tutti i nonni del pianeta, credo.
Ho riso, divertita e intenerita, nel leggere i suoi messaggi al mondo.

Bellissimo, totalmente da lui, autodefinirsi “The Glamfather“.

Solo che poi ieri nel raccontarlo ad una collega, mi è scappata la famosa “lacrima sul viso“.

Mi fa impressione.

Un’estate fa

Un’estate fa a quest’ora era domenica.

Un 12 giugno caldissimo, come d’altra parte lo è quello che sto vivendo e che sta per concludersi.

Una fila chilometrica per entrare al Forum d’Assago all’aperto. Entrare all’aperto: sembra un ossimoro, ma non lo è. Il forum ha una parte all’aperto, che d’estate usano per i concerti. E io il 12 giugno ero al terzo concerto di fila consumato nel giro di una manciata di giorni. Il primo a Verona, l’8, il secondo a Firenze (al Visarno) il 10, e poi la data di Milano, per giocare in casa. 3 concerti. Che fossero dei Duran Duran, ca va sans dire.

Spesso raccontando che nei limiti del fattibile (e dello sborsabile), quando i Duran vengono in Italia cerco di esserci a quante più date possibile, la gente mi guarda stralunata, come se fossi una pazza: Come?!?! Tre concerti tutti uguali?

Non lo concepiscono, perché pensano che ogni data sia uguale a sé stessa. Stesse canzoni, stessa scaletta, spesso anche stessa gente… Ma non ti rompi?

Non mi rompo? E no che non mi rompo, io no che non mi rompo, no che non mi rompo, non che non mi rompo!, come canterebbe Jovanotti. E manco mi annoio, sempre per dirla come lui.

Perché non è vero che ogni data è uguale alla precedente e a quella che verrà.

grazie a Stefano per l'immagine!

Volevo fare la rockstar

Amo la musica. Tutta, tranne – mea culpa, mea culpa, mea culpa – la latino-americana: alla terza bachata mi viene il ballo di San Vito.

Amo la musica. Mi entra nel sangue e mi fa venire voglia di muovere ogni singola fibra del mio corpo, anche le unghie dei mignoli dei piedi.

D’altra parte, come noto, mi piace ballare, tantissimo. Sento il ritmo pulsare nelle vene, selvaggio. Sulla pista mi chiamano “La Tarantolata“. Meglio dire mi chiamavano, perché in effetti è da molto che non scendo su una pista seria. Il tempo passa.

Amo tutti gli strumenti musicali, magari il triangolo no (in nessuna circostanza): il sax, il violino, il clarinetto, la chitarra elettrica, quella acustica, l’oboe, i bonghi, le percussioni.

Ma più di tutti, il basso.

Sei divino, sei come il vino

In tanti non mi capiranno, ma altrettanti sì. Quando l’11 di gennaio su Canale 5 ho visto arrivare Simon Le Bon al centro del palcoscenico di Music, non sono riuscita a trattenere una (ma anche due, tre, 100) lacrima di felicità. Una reazione inaspettata, ho sentito l’emozione crescere ed esplodere e non sono riuscita a frenarmi.
Ero contentissima di vederlo apparire su quel palco, bello come il sole, come se lo rincontrassi per la prima volta dopo secoli.

Eppure non era così: non è trascorso neanche un anno da quando l’ho ammirato dal vivo in Italia in tour l’ultima volta.

Però non lo so, è stato un impeto travolgente.

Passano gli anni, passano per tutti, cavolo. Ma io più lo ascolto, più lo guardo, più lo ammiro, più ne sono convinta: Simone Le Bon è come il vino. Un ragazzone il cui fascino e talento crescono con il passare del tempo. Un mito vivente. Un animale da palcoscenico, un grande showman, un artista, un grande poeta, un cantante inconfondibile e potente (ndr per i detrattori d’ufficio: prima di farvi spuntare il solito sorrisino ironico, ascoltatevi la performance a Music, e poi… muti!).

Simon è tutto questo e molto altro.