In tanti non mi capiranno, ma altrettanti sì. Quando l’11 di gennaio su Canale 5 ho visto arrivare Simon Le Bon al centro del palcoscenico di Music, non sono riuscita a trattenere una (ma anche due, tre, 100) lacrima di felicità. Una reazione inaspettata, ho sentito l’emozione crescere ed esplodere e non sono riuscita a frenarmi.
Ero contentissima di vederlo apparire su quel palco, bello come il sole, come se lo rincontrassi per la prima volta dopo secoli.

Eppure non era così: non è trascorso neanche un anno da quando l’ho ammirato dal vivo in Italia in tour l’ultima volta.

Però non lo so, è stato un impeto travolgente.

Passano gli anni, passano per tutti, cavolo. Ma io più lo ascolto, più lo guardo, più lo ammiro, più ne sono convinta: Simone Le Bon è come il vino. Un ragazzone il cui fascino e talento crescono con il passare del tempo. Un mito vivente. Un animale da palcoscenico, un grande showman, un artista, un grande poeta, un cantante inconfondibile e potente (ndr per i detrattori d’ufficio: prima di farvi spuntare il solito sorrisino ironico, ascoltatevi la performance a Music, e poi… muti!).

Simon è tutto questo e molto altro.

Non ho mai detto “Sposerò Simon Le Bon. Primo perchého sempre avuto gli occhi e una buona dose di autocritica per capire da me, senza che me lo dovessero dire gli altri, di non avere la benchè minima chance di impalmare il ragazzone. Secondo, perché, pur avendone sempre apprezzato il carisma, in realtà sono una tayloriana, una ammiratrice per nulla segreta del fascino di John Taylor.

Non ho mai detto “Sposerò Simon Le Bon“, perché Simon l’ho sempre visto come un amico, più che una possibile dolce metà. Un “amico” fighissimo, sia chiaro. Uno di quelli con cui sedersi orgogliosamente ad un tavolo per una bella birra gelata e parlarci per ore, facendogli tutte le domande che si fanno agli amici più cari, specialmente quando li rivedi dopo tanto.

Allora, come stai, che mi racconti?” “A casa tutto bene?”

Ne avessi la possibilità, gli chiederei cosa si prova, dopo tanti anni, a salire su un palco. E soprattutto, a starci, senza averne paura. Se è ancora emozionante come agli inizi, o se ci si fa il callo. Per una come me, la cui esperienza sotto le luci della ribalta si riduce a qualche saggio di zumba e ad una strepitosa esibizione di hip hop al Teatro Carcano mooooolti anni or sono, ritrovarmi  sullo stage dei più grandi teatri e palazzetti mondiali sarebbe fonte di colite perenne.

Chissà se anche a lui viene il “cagotto”, ogni tanto, quando sa che là fuori lo aspetta una folla urlante e carica di aspettative. Chissà se non capita(va) anche a lui, in preda all’emozione di sentire un terremoto nella pancia. Magari ancora sì, nonostante gli anni di esperienza. E se anche fosse, davanti a quella birra tra amici gli farei i complimenti, per la capacità di mangiarselo, il palco; e di dissimulare, ostentando una padronanza da fare invidia.

Se lo avessi davanti, ci terrei a ribadire che NON fui io, in quell’estate del 1989 a Londra davanti a casa di John Taylor, a dare una poderosa palpatina alle sue chiappe sode e incellophanate nei leggings più leggings del mondo.

“Tu magari manco te lo ricordi, Simon, ma io sì, e come se me lo ricordo. Anche perché eri incavolato nero, dopo. E a ragione. Ma te la sei presa con me, che non c’entravo nulla! Se poi mi avessi guardata bene, non avresti avuto dubbi, che non potevo essere stata io

E perché me ne sarei dovuto accorgere, secondo te? Da cosa avrei dovuto capirlo?

Ma cavolo, Simon! Porcaccia di quella miseriaccia, non ricordi? Ero timidissima. Avevo 17 anni, ma ne dimostravo 13. Sembravo una scimmietta, perché in quel periodo mi era presa una strana fissa con il cibo ed ero magra da fare paura. Secondo te, come cavolo avrei potuto avere l’audacia di assestare un bel cinque dita su quelle tue chiappette?!?

OK, OK, magari hai ragione, ma cavolo, anche tu devi capirmi! Ero circondato da ragazze assatanate. Oltretutto portavo i capelli leonini all’epoca, una specie di criniera, non so se te lo ricordi. Mi cadevano sugli occhi, dovevo tirarli dietro le orecchie, mi oscuravano la vista. Quando ho sentito la manata, non ci ho visto più. Mi sono girato e la prima persona che ho visto sei stata tu. Sì, è vero, ora che ci penso sembravi una bertuccia spaurita, ma io ti ho scambiata per una gatta morta!”

Ma Simon, ma dai, ma che dici?!? Gatta morta a me? Ero morta sì, all’epoca, ma di fame!!!”

“Oh, sorry! In effetti hai ragione, ora che ci penso… Allora scusa, non volevo. Per farmi perdonare, il prossimo giro di birra lo pago io, OK? Chissà chi è stato, però”

E che ne so! Ma non fa nulla, ti perdono! Ti avevo perdonato già allora, anche se mi hai fatto prendere un colpo; mi hai spaventata talmente tanto, che non sono riuscita a fare nulla, quando mi hai chiesto se fossi stata io, ho solo scosso la testa terrorizzata. Ma è acqua passata, beviamoci su… Offrimi la birra, che questa l’ho praticamente finita!”

Cambierebbe qualcosa della sua vita personale e professionale? Immagino di sì, credo chiunque di noi cambierebbe qualcosa. Chissà lui cosa.

Chissà se ha mai avuto voglia di ritirarsi e fare una vita diversa. A fare l’impiegato dell’ufficio postale. O il conduttore di autobus. Un lavoro “ordinario”, lontano dalle luci della ribalta, dai fotografi, dalle ragazzine urlanti. Senza l’obbligo di essere analizzato, osservato, studiato.  Immagino di sì anche qui. Capita a tutti. A me quasi ogni giorno, lo sapete.

Sono tante le domande che mi piacerebbe fargli. Talmente tante che per soddisfare la mia curiosità non basterebbe il tempo di bersi 30 boccali di birra. Ma non capirei più una mazza, alla fine, e forse anche lui, nonostante la sua inglesitudine.

Un giorno magari succederà. Saremo in un ospizio entrambi, ma succederà. Al posto della birra, berremo brodino con omogeneizzato al manzo, che per altro io adoro già adesso. Sono sulla buona strada.

Lui, da buon vino di pregio, invecchiando sarà diventando un Amarone da collezione, di quelli che non basta uno stipendio per comprarne una bottiglia. Io aceto. Ma succederà.

 

Every day I spend my time
Drinkin’ wine, feelin’ fine
Waitin’ here to find the sign
That I can understand – yes I am

In the days between the hours
Ivory towers, bloody flowers
Push their heads into the air
I don’t care if I ever know – there I go

Don’t push your love too far
Your wounds won’t leave a scar
Right now is where you are
In a broken dream

(In a Broken Dream – Python Lee Jackson)