Nel vano (e anche vago) tentativo di conservarmi “sempreverde“, da qualche tempo a questa parte (da quando cioè ho notato che le “rughe del sonno” alla mattina impiegano sempre più tempo a sparire) mi sono buttata sull’acquisto di creme, sieri, maschere cosmetiche in quantità più o meno industriale.

 “Miracoli” in vasetto, sono il mio aiutino per procrastinare il più lungo possibile il tracollo di viso, collo, palpebre, guance e di questo e pure di quell’altro. Di bio, non bio, chimico, non chimico “francamente me ne infischio”: basta che facciano il loro mestiere, mi spalmo addosso anche il calcestruzzo.

Si sa però che le creme da sole non bastano, ecco perché che da altrettanto tempo a questa parte ho deciso di darmi allo sport.

A livello amatoriale, certo. Molto amatoriale, direi. OK, siamo onesti: a livello “cialtronesco”. 

Frequento un corso di zumbamono-mensile.

Non perché sia il corso ad essere tale, ovvio (sarebbe anzi bisettimanale): ad essere mono-mensile, in effetti, è solo la mia frequenza.

Le mie compagne “zumbere” si radunano con entusiasmo ogni lunedì e venerdì, ma io proprio non ce la faccio: quando va davvero bene, riesco ad infilare tre settimane di seguito frequentando solo il lunedì (il venerdì per me non esiste zumba che tenga), ma se mi piglia la “pacundria” (e prima o poi mi piglia, non si scappa) allora “Adios“, come direbbe il buon chef Canavacciuolo: il mono-mensile è assicurato. Se poi ci si mettono trasferte di lavoro e impegni mondani vari, riesco a battere anche il non invidiabile record della frequenza bimensile o trimestrale. Ho osato persino un mono-semestrale, l’anno scorso.

Nonostante la mia proverbiale pigrizia, e d’altra parte l’ho detto anche in un altro post che aspiro a diventare un Michelasso in Gonnella, la zumba non mi dispiace.

In realtà non è ancora nata la disciplina in grado di rapirmi talmente tanto da decidere di non abbandonarla mai, ma sono davvero migliorata rispetto al passato, visto che per esempio da ragazzina ogni anno cambiavo sport e in genere smettevo di frequentare il relativo corso a metà anno.

Invece, è da tre anni pausa più pausa meno che son diventata “zumbera”.

Perché non mollo? I motivi sono tanti.

Il primo in assoluto è che mi piace ballare; sono “tarantolata inside”: mi basta sentire una nota e parto, purché siano note latino-americane, perché, lo confesso, quella musica lì dopo un brano mi fa venire voglia di spaccare le casse dello stereo. Ora, sembra una contraddizione in termini, visto che la zumba ha sicuramente tanto ritmo sudamericano, ma per fortuna non è sempre solo sudamericano ed è esattamente quel “non sempre e non solo” che mi piace.

Ballare è per me liberatorio, ipnotico, rivelatorio. E se non ballo vuol dire che non sono in forma (un po’ come mi succede per quando non parlo), oppure… che stanno suonando della salsa o del merengue.

L’altro motivo è che la scuola ce l’ho sotto casa. Non più di 150 metri eppure anche quelli spesso sono troppi. Ma se mi prende la luna giusta, allora li faccio in 1 minuto. Arrivo sempre all’ultimo secondo, ovvio, ma arrivo.

Poi c’è il gruppo: una miscellanea di giovanissime, giovani, ancora abbastanza giovani, diversamente giovani donne, capitanate dalla nostra “maestra” e mentore Tanya.

Mi piace stare con loro, perché anche se non mi vedono per settimane, quando torno all’ovile è come se non mi fossi mai  allontanata. Un bel gruppo, eterogeneo eppure affiatato, di cui mi sento parte integrante nonostante le lunghe assenze (complice anche Whatstapp, che usiamo per le comunicazioni di servizio e non solo, per cui non mi perdo mai neanche un dettaglio). La scorsa stagione, per esempio, sono tornata a frequentare a marzo, dopo aver salutato per l’ultima volta a metà novembre. Eppure quando sono rientrata ho potuto partecipare allo spettacolo di fine anno, per fortuna!

In effetti le esibizioni in pubblico mi piacciono tantissimo. Mi emozionano, mi elettrizzano e fanno mancare il fiato per l’ansia da prestazione, ma mi divertono e, a dirla tutta, il fatto di potermi esibire su un palco mi piace talmente tanto che, se non ce ne fosse data la possibilità, forse avrei più facilmente abbandonato la disciplina. Ogni volta che si ripete la magia, prima che si accendano i riflettori quasi sto male e mi chiedo chi diavolo me l’abbia fatto fare. Poi le luci di scena ci illuminano e io mi sento viva.

Ultima ragione per la quale anche questa volta mi iscriverò al corso è che la scorsa stagione, proprio per essere “al top” durante lo spettacolo di fine anno, ho speso un capitale in abbigliamento e “costumi di scena”. Anche solo per questo, per sfruttare pantaloni e top che ho usato solo qualche minuto a maggio, mi costringerò a combattere la pacundria, camminare per 150 metri, varcare il cancello della scuola di danza, salire le 4 rampe di scale ed entrare finalmente in aula.

Questo però avverrà solo tra un mese, perché nel frattempo un maldestro tentativo di emulazione di Heather Parisi mi ha procurato un simpatico strappo alla chiappa destra, che mi costringerà a stare ferma per 4 settimane

Ne è valsa la pena e presto racconterò come e perché è successo.

Ma ora fa male e – ahimè – per il momento le mie amiche zumbere e le luci della ribalta dovranno aspettare.

 

You’re on the floor, what you gonna do?
I’m in the system, I’m trying to get to you
We’ve both waited for so long
Nothing can stop us, come on, this is our song
 
Look around, forget the crown 
Take my hand and sing it loud
 
I know what it is coming over you 
You don’t dance, danceophobia 
I know what it is coming over you
You don’t dance, no you don’t, you don’t dance

(“Danceophobia” – Duran Duran feat. Lindsay Lohan)