A wannabe rockstar

Nei miei sogni c’è sempre stato quello di fare la tour manager dei Duran Duran, lo sapete.
Ma credo che mi sarebbe piaciuto molto anche fare la rockstar.

Amo la musica. Tutta, tranne – lo confesso – la latino-americana: alla terza bachata mi viene il ballo di San Vito.
Amo la musica. Mi entra nel sangue e mi fa venire voglia di muovere ogni singola fibra del mio corpo, anche le unghie dei mignoli dei piedi.

Sento il ritmo pulsare nelle vene, selvaggio.
Sulla pista mi chiamano “La Tarantolata“. Meglio dire mi chiamavano, perché in effetti è da molto che non scendo su una pista seria. Il tempo passa.

Amo tutti gli strumenti musicali, magari il triangolo no (in nessuna circostanza): il sax, il violino, il clarinetto, la chitarra elettrica, quella acustica, l’oboe, i bonghi, le percussioni.
Ma più di tutti, il basso.

Un’estate fa

Un’estate fa a quest’ora era domenica.

Un 12 giugno caldissimo, come d’altra parte lo è quello che sto vivendo e che sta per concludersi.

Una fila chilometrica per entrare al Forum d’Assago all’aperto. Entrare all’aperto: sembra un ossimoro, ma non lo è. Il forum ha una parte all’aperto, che d’estate usano per i concerti. E io il 12 giugno ero al terzo concerto di fila consumato nel giro di una manciata di giorni. Il primo a Verona, l’8, il secondo a Firenze (al Visarno) il 10, e poi la data di Milano, per giocare in casa. 3 concerti. Che fossero dei Duran Duran, ca va sans dire.

Spesso raccontando che nei limiti del fattibile (e dello sborsabile), quando i Duran vengono in Italia cerco di esserci a quante più date possibile, la gente mi guarda stralunata, come se fossi una pazza: Come?!?! Tre concerti tutti uguali?

Non lo concepiscono, perché pensano che ogni data sia uguale a sé stessa. Stesse canzoni, stessa scaletta, spesso anche stessa gente… Ma non ti rompi?

Non mi rompo? E no che non mi rompo, io no che non mi rompo, no che non mi rompo, non che non mi rompo!, come canterebbe Jovanotti. E manco mi annoio, sempre per dirla come lui.

Perché non è vero che ogni data è uguale alla precedente e a quella che verrà.

grazie a Stefano per l'immagine!

Volevo fare la rockstar

Amo la musica. Tutta, tranne – mea culpa, mea culpa, mea culpa – la latino-americana: alla terza bachata mi viene il ballo di San Vito.

Amo la musica. Mi entra nel sangue e mi fa venire voglia di muovere ogni singola fibra del mio corpo, anche le unghie dei mignoli dei piedi.

D’altra parte, come noto, mi piace ballare, tantissimo. Sento il ritmo pulsare nelle vene, selvaggio. Sulla pista mi chiamano “La Tarantolata“. Meglio dire mi chiamavano, perché in effetti è da molto che non scendo su una pista seria. Il tempo passa.

Amo tutti gli strumenti musicali, magari il triangolo no (in nessuna circostanza): il sax, il violino, il clarinetto, la chitarra elettrica, quella acustica, l’oboe, i bonghi, le percussioni.

Ma più di tutti, il basso.

Sei divino, sei come il vino

In tanti non mi capiranno, ma altrettanti sì. Quando l’11 di gennaio su Canale 5 ho visto arrivare Simon Le Bon al centro del palcoscenico di Music, non sono riuscita a trattenere una (ma anche due, tre, 100) lacrima di felicità. Una reazione inaspettata, ho sentito l’emozione crescere ed esplodere e non sono riuscita a frenarmi.
Ero contentissima di vederlo apparire su quel palco, bello come il sole, come se lo rincontrassi per la prima volta dopo secoli.

Eppure non era così: non è trascorso neanche un anno da quando l’ho ammirato dal vivo in Italia in tour l’ultima volta.

Però non lo so, è stato un impeto travolgente.

Passano gli anni, passano per tutti, cavolo. Ma io più lo ascolto, più lo guardo, più lo ammiro, più ne sono convinta: Simone Le Bon è come il vino. Un ragazzone il cui fascino e talento crescono con il passare del tempo. Un mito vivente. Un animale da palcoscenico, un grande showman, un artista, un grande poeta, un cantante inconfondibile e potente (ndr per i detrattori d’ufficio: prima di farvi spuntare il solito sorrisino ironico, ascoltatevi la performance a Music, e poi… muti!).

Simon è tutto questo e molto altro.

The Princess in Tour

È nei giorni come questo, in cui spesso piove e c’è vento (manca solo Heidi che bussa a sto convento), che mi capita più spesso di crogiolarmi nei ricordi dei bei tempi che furono.

Siedo alla scrivania, metto mano sulla tastiera, ma poi la testa parte immediatamente per conto suo, in un viaggio à rebours, e si ferma a rivivere momenti che avrei voluto fermare nel tempo o al contrario disfare e rifare completamente.

Stamattina, per esempio,  sono tornata ai miei 13 o 14 anni. In un’aula di scuola, durante una lezione di chissà cosa, seduta al mio banco facendo finta di stare attenta alle spiegazioni della Prof di italiano, nelle orecchie incessante la melodia di Hungry Like The Wolf. Non c’è modo di togliermelo dai timpani e dalla testa. Ci provo a riconnettermi con la realtà, ma senza successo.

È  stato lì che all’improvviso ho capito cosa avrei voluto fare da grande: la tour manager dei Duran Duran!