Il 3 novembre è Santa Silvia, come mi hanno ricordato stamattina gli auguri via whatsapp della mamma e di qualche amica omonima.
Io, come tutti gli anni, me ne ero completamente dimenticata.

Dicevo, il 3 novembre è Santa Silvia. Non ho mai capito se martire, madre o vergine. In ogni caso, non rientro in nessuna delle tre categorie.

Mi chiamo Silvia – anzi, Silvia Iolanda (il secondo nome, che porto legalmente su tutti i documenti, è un omaggio alla nonna paterna) – e oggi questo nome me lo sento cucito addosso e ne vado fiera.
Non potrei, né vorrei, chiamarmi altrimenti.

Ne amo il suono e ne apprezzo anche le storpiature, tipo “Silvietta” (che mi fa sentire tanto coccolata) e “Salvietta”, come mi chiamava da piccolo uno “zio” acquisito. “Silvy” mi piace un po’ meno, ma non lo disdegno.

Silvia. Un nome diffuso, ma non inflazionato, non alla moda.
Un nome che mi piace e anche molto; non è stato sempre così.

Quando ero piccola proprio non mi andava giù. Dirò di più, lo detestavo quasi.

D’altra parte, era lo stesso per il mio cognome. A scuola mi chiamavano “Di Tommaso La Scopa Ficcanaso” e la presa in giro è stato uno dei miei traumi infantili per eccellenza.
Oggi che sono cresciuta, Di Tommaso mi piace e mi sembra distintivo al punto giusto. All’epoca lo trovavo un’ingiustizia.

Ma tornando al nome, come dicevo, non lo amavo.

In prima elementare mi sarei voluta chiamare Roberta. Cosa che oggi, non me ne vogliano le Roberte around the world, non sceglierei mai per me stessa o per altri familiari.

Mi sarei voluta chiamare così per spirito di emulazione e di ammirazione nei confronti di una compagna di classe che ne portava pomposamente il nome.
L’avevo presa come riferimento e standard di carineria (intesa dal punto di vista estetico, perché caratterialmente, invece, pur essendo piccola e ingenua non avevo impiegato molto a capire di avere di fronte più o meno una megera in miniatura).

Ne ero affascinata. Saranno stati gli occhi azzurri e pungenti, i lunghi capelli raccolti in una treccia bionda e perfetta, la minutezza dei lineamenti, la statura mignon.
Chissà che diavolo mi frullava per la testa all’epoca.

Di fatto, per me era un modello e pertanto lo era anche il suo nome.
Mi piaceva tantissimo, sarei voluta essere esattamente come la personcina che lo portava.

D’altra parte da piccola ero tutta strana, in fatto di personaggi di riferimento. Ho già raccontato che a scuola ero timidissima e non parlavo con nessuno.
Avevo solo un’amica, tale Elvira S., grande in prima elementare come lo sono io adesso, a quasi 5 lustri suonati.

Era la mia migliore amica e mi picchiava, figurarsi se fosse stata la peggiore nemica.
Grande e grossa, in seconda elementare aveva già i punti neri sul naso. Io in confronto sembravo uno gnomo. Pur essendo migliori amiche, il nome Elvira non mi è però mai piaciuto;  sicuramente, non la vedevo come modello estetico.

Roberta, invece, oltre a non essere la mia amica del cuore, era pure fetente (ma lo era anche la Elvira, diciamocela tutta), ma io la vedevo come una specie di bambolina di porcellana biscuit da emulare.
Delicata e aggraziata come una delle topine di Cenerentola, le allegre creature che aiutano l’eroina a cucire il vestito per il ballo.

Anni dopo, ormai donne, l’ho rivista.

L’ho riconosciuta su un mezzo pubblico nella zona in cui siamo entrambe cresciute, accompagnata dalla mamma, anche lei impossibile da scordare.

Inconfondibile. Rimasta alta più o meno come allora, ne ho riconosciuto l’espressione. L’ho osservata bene, da lontano. Ben lungi da me l’idea di farmi riconoscere.

Altro che bambolina biscuit; altro che graziosa e delicata topina di Cenerentola da emulare: una specie di sorcio dal muso appuntito, con tanto di baffi biondi e ben fosforescenti alla spietata luce del tram (a scanso di equivoci: non ho niente contro i baffi, ce li ho anche io, quindi non è questo piccolo dettaglio tricologico ad avermi fatto passare la poesia, solo che io non li decoloro, li tolgo, e quindi per lo meno non diventano fluo sotto i riflettori!), stessa treccia perfetta  e biondissima; “alta” come allora; stesso identico sguardo ceruleo, pungente e stronzetto di 30 anni prima.

Da quel momento ho avuto conferma di quello che già da anni avevo intuito.
Che Silvia è un nome bellissimo.

 

Show me your secret and tell me your name
Catch me with your fizzy smile
Try to remember again and again
What it is that I recognize
Don’t ask me now
When I need you I don’t know how
To believe in your advice
Just this once I take the dice

(I take the Dice – Duran Duran)