Avrei voluto intitolare questo pensiero “Smart working is the new black”, titolo che ho letto sulle pagine di Millionaire rimanendone folgorata, ma mi sarebbe sembrata una scopiazzata troppo plateale e quindi ho lasciato perdere. Però è il titolo che avrei scelto e fatto mio!

Perché in effetti è così vero: oggi “siamo tutti smart worker” e  smart working è la parola più di tendenza del momento, sulla bocca di tutti.

Per poter andare avanti, ci siamo dovuti tuffare più o meno senza salvagente nel misterioso mondo del lavoro da casa, anche se, come tanti esperti sottolineano, questo non vuol dire che si tratti di lavoro davvero smart, che per contratto, condizioni e situazioni, è in molti casi cosa ben diversa rispetto a quello che buona parte della popolazione italiana sta praticando.

Di fatto, per moltissimi di noi l’esperienza è stata completamente nuova. Ogni mattina accendiamo il computer, io spesso con gli occhi ancora impastati di sonno e i capelli per aria, e ci buttiamo a capofitto nelle nostre attività.
I primi giorni probabilmente non è stato facile, troppo ancorati agli orari, i ritmi, gli schemi del lavoro in ufficio. Poi, piano piano, ci siamo abituati e adeguati e preparati ad affrontare ore e ore di video chiamate, per darsi il buongiorno e bere il caffé insieme, “distanti ma vicini”

Personalmente lavoro in modalità smart da diversi mesi, da prima che scoppiasse il Covid.
Lo facevo due volte a settimana, per me l’ideale, potendo decidere in che giorni e se farlo.
Che dire? Per me è stata una manna dal cielo. Noi siamo una famiglia micro, quindi nel mio caso non era questione di poter star meglio dietro alla prole, ma solo di risparmiarmi, banalmente, due ore di viaggio ogni giorno sulle famigerate linee di Trenord, esperienza spesso provante, e di trovare maggiore concentrazione rispetto alla vita da open-space, che per altro mi piace ma che a volte è davvero confusionaria.

Con il Covid, da due giorni sono passata all’intera settimana. E dall’intera settimana a settimane intere. E così è andata anche per tanti amici, conoscenti, collegamenti su LinkedIN: tutti “in smart”.
Poi però vai a vedere bene e ti accorgi che a distanza di quasi due mesi c’è chi in smart ci è entrato solo dieci giorni fa; chi per farlo ha dovuto portare il proprio pc di casa, spesso non aggiornato, agli IT aziendali e farsi installare lì i software, perché l’azienda non ha trovato sul mercato un numero sufficiente di computer da dare ai collaboratori; chi non ha la banda e con il modem e 4 persone a casa che intasano la linea, rischia l’esaurimento.

La mia esperienza personale, per fortuna, è positiva.
La nostra azienda si è mossa con tempestività ed efficienza da subito. Non è un’impressione solo mia, ma di tutti i colleghi.
Lo so perché con loro abbiamo lavorato ad un progetto molto simpatico e interessante, #faravelliinsmartworking, in cui abbiamo raccolto le testimonianze di un campione di colleghi e il risultato è incoraggiante.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi, l’emergenza che stiamo vivendo ha scoperchiato il vaso di Pandora sull’arretratezza di larga parte delle aziende italiane, non sempre solo piccole e medie, ancora saldamente legate ad un concetto di lavoro che oramai sembra appartenere ad un’epoca che non c’è più, anche se non sono sicura che non tornerà.

Da questa vicenda durissima di Covid, per la quale rimarremo immortalati nelle cronache future, forse riusciremo a trarre delle lezioni utili per gli anni a venire.
La prima è che riusciremo a scrollarci di dosso l’idea tutta italiana che il lavoro da casa non sia per tutti e che non sia lavoro: abbiamo capito infatti che è estendibile a tantissime funzioni e che si lavora molto, anche ben di più e con con maggiore concentrazione.
Che il vero smart working è qualcosa di diverso, sia da un punto di vista burocratico che pratico, dal lavoro da casa e dai numerosi screenshot con il mosaico dei volti sorridenti dei colleghi, tutti felici.
Che va bene riempirsi la bocca di parole altisonanti e lodarne le virtù e i vantaggi, ma che per farlo bene e a beneficio di lavoratori e aziende, bisogna attrezzarsi in tempo e con le giuste strumentazioni, altrimenti diventa davvero un inferno.
E l’inferno, che io sappia, di smart deve avere proprio poco.

 

Grazie a Puzzle Agenzia di Comunicazione per l’immagine, sempre molto azzeccata

 

Working on the weekend baby
She’s working all through the night.
A jump into the deep end,
Gave her the evidence she required.
Take five, she’s got pearls,
Don’t fake it when it comes to making money –
So… she smiles, but that’s cruel
If you knew what she’d think, if you knew what she was after…
Sometimes she wonders… and she laughs in her frustration
Would someone please explain…
The reason for this strange behaviour
In exploitation’s name…
We must be working for the skin trade.
(Duran Duran – Skin Trade)