Allora è proprio vero, torna Sex and the City!
L’ho letto sulla rete qualche giorno fa e subito ho messo “mi piace” agli account IG ufficiali di And Just Like That. Non ci sarà Samantha e questo fa un po’ specie, ma le “ragazze” tornano. E avranno 50 anni.

Ho scoperto la serie cult relativamente tardi, ma subito è stata passione a prima vista. Mi è piaciuto anche il film, il primo.
In quelle ragazze ho visto tanto di noi, nate ad inizi anni 70, come loro.
Ho visto tanto delle mie amiche, in molti casi; in alcune ho potuto individuare l’esatta corrispondenza con il personaggio.
Meno su di me, che sono forse un po’ una versione all’acqua di rose di Carrie e neanche poi tanto.
Forse, sono di tutte un po’, nella maniera più sconclusionata possibile.

Sono contenta siano tornate, le ragazze.
Quando ho letto la conferma ufficiale, però, ho avvertito una stretta al cuore e una lacrima pungere prepotente.
Maledetta malinconia. Maledetti anni che passano.
Perché sì, le ragazze stanno tornando, ma tornare ragazze, ahimè, non si può.

Il 1 gennaio 2021, dopo aver passato il Capodanno più strano ma forse anche più bello (a casa, maritone, cagnolone e io, tranquilli, a mangiare sushi e qualche piatto sfizioso ordinato al catering, divano, brindisi, cotechino e lenticchie, divano, serie TV), mi sono svegliata con le balle girate, o meglio, con un senso di disagio neanche troppo vago: l’anno appena (appena? a me sembra già passato tantissimo tempo da Natale!) cominciato sarà particolarmente miliare, a livello personale.
Ci saranno tante ricorrenze familiari da festeggiare.
Ma soprattutto, sarà l’anno in cui il titolo di “adolescente attempata” che spesso ho usato per descrivermi smetterà di avere senso.

Era da tanto che il pensiero stava cercando di offuscare le mie giornate e avevo fatto di tutto per rimuoverlo e respingerlo.
Ma il 1 gennaio è scattato il 2021. E io sono nata nel 1971: fate voi due calcoli, non ci vuole molto.

E ora che succede?
Dovrò cominciare a definirmi “matura“?
Matura. Io che se mi guardo allo specchio continuo a sorprendere il riflesso di una pazza con i capelli dal taglio sbarazzino e gli occhi ridenti anche quando assonnati; un corpo che magari è cambiato (senz’altro lo è) ma che ancora sta su senza grandi barbatrucchi.
Io, che a livello ciarlatano praticherei, se non fosse per il Covid e per la pigrizia, ancora dance&fit e pallavolo. Pallavolo, sì, pallavolo! e allora? Anzi, dirò di più: ho cominciato a giocare nel 2019, già bella stagionata!
Io, che la sera sul divano per guardare la TV mi stravacco e mi accartoccio scomposta, senza temere di spezzarmi, non ancora.
Io, con le ginocchia che ancora reggono bene l’indosso di un pantaloncino senza paurosi crolli emotivi.
Io, io che. Già, proprio io.

Eppure è così. Il calendario dice che tra 9 mesi, come fosse un parto, saranno 10 lustri. E vado in ansia. E non mi va giù.

Qualche anno fa pensavo che crescendo e giunta a metà di nostra vita mi sarei smarrita per una selva oscura chiamata invidia. Pensavo avrei invidiato le ragazzine.
Non sta succedendo, per fortuna.
Un po’ perché io mi intestardisco a fare, disfare e forcare come lo fossi ancora. Anche quando parlo con le amiche più giovani, mi sento parte del gruppo, pur sapendo che non è così. Mi scruto attraverso i loro occhi e ricordo come ero io, a 25, come guardavo le “mature”.  Ma era diverso. O ero diversa io?

Comunque non le invidio, non per l’aspetto fisico, per lo meno per ora, e men che meno per la testa. Anche se le definisco “fetenti”, sto bene nel mio involucro.

Sono solo amareggiata perché il tempo passa. Solo quello: e brava, dici poco?
Perché è un processo che non si può arrestare e ci sono delle date che costituiscono dei passaggi irreversibili.
E più vai avanti e più corre veloce e questo mio fa terrore, un terrore che mi toglie il respiro.
Perché lo so che se la fortuna mi starà accanto (perché alla fine credo che sia tutto solo una questione di fortuna, la vita, a cominciare da dove e quando nasci, tutta casualità) e mi permetterà un viaggio lungo e “morbido”, un giorno sempre meno lontano guardandomi allo specchio non saprò più riconoscermi nei tratti che ho imparato ad accettare e a cui oggi voglio bene.
Arriverà il giorno in cui non potrò più indossare con un pizzico di ordinaria  consapevolezza abiti  leggiadri, sentirli ondeggiare per sempre su muscoli e ossa solide, fiere.
Arriverà.

Ma oggi è il 20 gennaio, ho finito di lavorare, fuori fa freddo, ma io sto bene.
Oggi è toccato alla mia dolce metà, il mio Mr Big, diventare più grande di un anno, ma lui è sempre al top, e poi è più giovane di me, il fetente.

Sono uscita a portare fuori il nostro cagnolone, Jordan.
Irriconoscibile (meglio, così non mi rompe le balle nessuno) con il mio cappello da pescatore nero, mascherina nera; un palombaro con gli stivaletti infangati, è vero; ma con una falcata sfrontata, degna di tutte le protagoniste di Sex and the City messe insieme, una falcata che neanche la Carrie dei tempi migliori sulle sue meravigliose Manolo.

E al diavolo tutto. E al diavolo tutte le mie paturnie. E viva la vita!

 

“And you sway in the moon
The way you did
When you were younger
When we told everybody
All you need is now
Stay with the music let it
Play a little longer longer
You don’t need anybody
All you need is now
(All you need is now, Duran Duran)